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Leopardi: un irriducibile materialista

Umberto Piersanti

Il pensiero di Leopardi è stato il più strattonato della nostra storia letteraria: ognuno tentava di mettergli addosso un distintivo che con il recanatese spesso non c’entrava molto o per niente, ma che rispondeva al pensiero, meglio ancora all’ideologia, dell’interprete di turno.

Iniziamo da una considerazione fondamentale: la materia, scrive Giacomo nel frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco (una delle Operette morali più rivelatrici della Weltanschauung del recanatese), è sempre esistita e sempre sarà: tutti gli esseri nascono e muoiono rientrando nella materia che è eterna. La materia non ha avuto bisogno di nessuno che la creasse. Direi che questa è l’affermazione più precisa e importante che impedisce ogni approccio metafisico e trascendente. Non è certo il solo momento dell’opera leopardiana in cui viene negata con forza ogni dimensione metafisica e religiosa. Il comportamento della ginestra dovrebbe essere un esempio per l’uomo, un invito a non ricercare la salvezza in un’illusione di tipo trascendente: «e tu, lenta ginestra……più saggia / … tanto meno inferma dell’uom, / quanto le frali / Tue stirpi non credesti / o dal fato o da te fatte immortali». Dunque, come la ginestra, dobbiamo accettare la verità e la durezza delle ‘cose’ senza inutili lamenti e senza l’alterigia di vane proteste.

Altrove Leopardi ironizza sulle noiose beatitudini del paradiso cristiano che s’intravedono dietro la critica delle astrazioni neoplatoniche.

Qualcuno ha trovato nel vento de L’infinito una qualche presenza divina, altri hanno parlato, come Pietro Citati, di misticismo cristiano o islamico, altri ancora precedentemente di un’immersione panica di tipo induista o buddista; ritengo che la percezione dell’infinito rientri nello stupore umano dinnanzi alla vastità del cosmo e ancora di più della nostra immaginazione che lo trascende: a mio parere il divino non c’entra.

Anche l’aspirazione del pastore-Leopardi di «volare nel cielo / e noverar le stelle ad una ad una» non è indizio di una pulsione verso il trascendente, verso una dimensione ‘celeste’ e spirituale come ha creduto un noto commentatore giornalistico molto amato e ricercato dalle scuole italiane, ma segno di una sete tutta umana di libertà e di ricerca. Avevamo visto precedentemente il tentativo di Luporini di dare una fisionomia molto progressista, quasi ‘pre-marxista’ al grande recanatese. Certo, Leopardi è più vicino ai liberali ottocenteschi che ai conservatori e ai reazionari come dimostra la sua elezione a deputato nell’Assemblea nazionale di Bologna durante i moti liberali dell’Italia del 1831. Non c’è mai, però, quella fiducia nelle «magnifiche sorti e progressive» che contraddistingueva gli intellettuali liberali italiani. Nessuna scontata fiducia sull’immancabile progredire della storia che il marxismo hegelianamente persegue sostituendo alla categoria dello Spirito quella dell’Economia.

Più convincente mi sembra la tesi di Timpanaro di un titanismo leopardiano: contro il casuale, l’assurdo che domina la realtà, viene spesso evocata la necessità da parte dell’uomo di contrapporsi senza ricorrere a salvifiche favole e senza infantili lamenti sulla durezza della sorte.

Leopardi è un materialista convinto: si potrebbe tracciare una sua ascendenza filosofica da Lucrezio fino a D’Holbach ed Helvetius. Ogni forzatura spiritualistica mi sembra sbagliata: e inoltre dovrebbe cessare la tendenza di mettere al recanatese una propria giubba ideologica: e quest’ultima affermazione vale anche per gli interpreti marxisti e affini.

Nella tradizione italiana, dominata dal cattolicesimo, il termine “materialista” ha sempre avuto una connotazione profondamente negativa e, aggiungo, impropria. Materialista diventerebbe colui che non ha valori (almeno quelli condivisi dal pensiero comune). Il che è assurdo: ci sono persone che non credono in una dimensione trascendente, ma che hanno affrontato la prigionia e la morte per il loro ideali. Un esempio tra i tanti è Antonio Gramsci. Non credere in un dio non vuol dire non credere in nulla.

C’è, però, uno iato tra la Weltanschauung e il modo di avvertire il mondo e le cose che non so se possa essere indicato da un’altra parola tedesca, Erlebnis.